"Bloggopolis"

La Piazza delle Idee nella Città del Dialogo

Le idee sono il motore di una realtà che vive e respira al di là della nostra sola mente. Ecco allora spuntare Bloggopolis, uno spazio contemporaneo per dar voce a una città saggia e antica che vuole parlare, dialogare e conversare del presente e del futuro. Una piazza in cui raccogliere, attraverso i vostri commenti, il 'sentiment' di una popolazione a volte silenziosa e timida, sicuramente generosa e propositiva. Una polis del nostro tempo, la cui piazza virtuale sia specchio di una città che ci sta a cuore. Piacenza ‘città comune’.


martedì 29 novembre 2022

PIERGIORGIO TRA I SUOI AMICI, NELLA SUA CITTÀ

 PIERGIORGIO

TRA I SUOI AMICI, NELLA SUA CITTÀ

con Alfonso Berardinelli, Angela Borghesi, Carlo Cecchi, Gianni D’Amo

DOMENICA 4 DICEMBRE 2022 | ORE 10

TEATRO FILODRAMMATICI di PIACENZA (Via Santa Franca, 33)



martedì 31 maggio 2022

Piergiorgio Bellocchio "Diario del novecento"

 

CITTÀCOMUNE 2022

www.cittacomune.it


Cara amica, caro amico, 

come avrai saputo, anche per la eco che la sua scomparsa ha avuto sui mass media locali e nazionali, il 18 aprile scorso ci ha lasciati Piergiorgio Bellocchio, intellettuale tra i più importanti del secondo Novecento e, per stare alla parte conclusiva del suo impegno, fondatore e a lungo presidente – finché le energie lo hanno sorretto – dell’associazione Cittàcomune. Lo ricordiamo per l’intelligenza generosa, la presenza costante e paziente, il rigore, lo stile: un quindicennio di nostra attività politico-culturale rivolta alla città reca la sua inconfondibile impronta critica. Ci mancherà, e in ogni situazione malcerta continueremo a chiederci cosa avrebbe detto e fatto Piergiorgio.

Negli ultimi anni, in collaborazione con l’amico Gianni D’Amo, si era dedicato a trasformare in libro una scelta dalle oltre duecento agende di note e riflessioni – politiche e personali, letterarie e di costume – redatte negli ultimi decenni. Il libro, che propone il primo ventennio di quelle note (1980-2000), è da qualche giorno finalmente in libreria col titolo Diario del Novecento

Combinando testi e immagini Diario del Novecento propone – come nell’esecuzione di una partitura musicale – la polifonia delle agende di Bellocchio: dalle riflessioni sulla lingua a quelle su cinema e letteratura e alla critica della politica, nel costante intreccio di memoria personale e storia collettiva. Ne risulta un’opera-testamento sul XX secolo, a firma di uno dei suoi critici più acuti.

A settembre organizzeremo un incontro pubblico – con i suoi amici, nella sua città – per riascoltarne la voce attraverso i testi che ci ha lasciato: perché, come ha scritto il grande critico e germanista Cesare Cases, «… certe verità vanno affermate almeno la prima volta con la voce di Bellocchio e non con quella di qualche suo pallido imitatore…». Intanto ci fa piacere segnalare che il “Venerdì”- Repubblica del 3 giugno prossimo proporrà un ampio servizio dedicato a Diario del Novecento, con uno scritto dell’amico critico Alfonso Berardinelli.

Per contributo associativo e donazioni: bonifico bancario intestato "Associazione Cittàcomune" presso Intesa Sanpaolo, codice IBAN: IT27 C030 6909 60610000 0152 774


giovedì 19 maggio 2022

I volti di Pasolini

 

sabato 21 maggio 2022

 

PICCOLO MUSEO DELLA POESIA

chiesa di San Cristoforo

via Genocchi, 17 - Piacenza

 

 

I volti di Pasolini

Convegno multidisciplinare e performativo

domenica 3 aprile 2022

Rinnovo del Direttivo di cittàcomune

 


Rinnovato il Direttivo dell'associazione cittàcomune

 

Domenica 13 marzo 2022 presso la Cooperativa "La Magnana" si è tenuta l’assemblea annuale di cittàcomune.

 

In quella sede è stato rinnovato il Direttivo dell'Associazione ora così composto:

Gianni D'Amo presidente, Ettore Arbasi, Cinzia Astorri, Gianni Bernardini, Enrico (Chicco) Bertè, Luigi Boledi, Maura Bruno, Mario Bulla, Serio Ferri, Massimo Gardani tesoriere, Mario Giacomazzi, Paolo Prandini, Fabrizio Redaelli, Francesco Serio e Simona Soffiantni.

Nel corso della prima riunione del Direttivo, tenutasi giovedì 24 marzo, è stata scelta all'unanimità Simona Soffiantini quale nuova coordinatrice dello stesso.

domenica 21 febbraio 2021

la tessera 2021 al tempo della pandemia

 Nove marzo duemilaventi


Mariangela Gualtieri



Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.

Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.

E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere -
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.


Adesso siamo a casa.


È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.

 

È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.


Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.

Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.


Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.


A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora -
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.

giovedì 5 novembre 2020

giovedì 18 giugno 2020

AMERICA 2020 - incontro con Bruno Cartosio

PIACENZA GIOVEDI’ 25 GIUGNO ore 21 

coop. LA MAGNANA - 
strada Magnana 20 

da Corso Europa imboccare Via Goitre, superare “L’Hospice” e il sottopasso Tangenziale 
AMERICA 2020 
L’inarrestabile ondata di protesta che attraversa gli STATI UNITI 
dopo l’omicidio di George Floyd 
Ne parla e discute con i presenti l’americanista Bruno Cartosio 

Bruno Cartosio è uno dei più attenti studiosi italiani delle culture americane. Il suo ultimo libro è Dollari e no. Gli Stati Uniti dopo la fine del secolo americano (DeriveApprodi, 2020) 
«L’omicidio di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio ha innescato una sollevazione generale. Una ragnatela di centinaia di manifestazioni di massa, che ha avvolto gli Stati Uniti in un “coerente movimento nazionale contro il razzismo del sistema” (New York Times). Gli afroamericani sono alla testa della protesta, come lo erano stati negli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento, quando l’ultimo loro grande movimento aveva imposto cambiamenti radicali – contro il razzismo istituzionale e contro la povertà – nella società statunitense. E stavolta la rabbia per gli omicidi da parte delle polizie locali, già allora scintilla delle rivolte urbane, è esasperata dall’innalzamento drammatico della disoccupazione e dalla devastazione dei contagi da Covid-19 degli ultimi mesi. Pressoché ovunque al seguito dell’iniziale ribellione nera si è formata una composita corona di solidarietà politica combattiva e largamente non violenta. Tanto rappresentativa che non potrà essere ignorata, né ridotta a “delinquenti” (thugs), come li ha bollati Trump. Sufficientemente grande prima da accerchiare la Casa Bianca e costringere Trump a chiudersi nel bunker sotterraneo, e poi da riempire la capitale con un milione di dimostranti. La loro è una rabbia lucida, che coniuga l’insopportabilità delle violenze poliziesche con la risposta all’insulto razziale e l’inaccettabilità della condizione sociale. In prima linea sono i più giovani, ma come in tutte le resistenze i meno giovani sono il retroterra necessario per dare peso politico, fare coalizione e tenere la barra del movimento». (Bruno Cartosio) 

Io sono sempre a metà fra speranza e storia, e la nostra storia non depone bene a questo riguardo. Di solito una breve stagione di ottimismo si risolve nel solito nulla di fatto. Ma ciò che ho visto in queste settimane è stato straordinario. Forse stavolta riusciremo a sviluppare la volontà politica necessaria per un vero cambiamento.

Kareem Abdul-Jabbar (10 giugno 2020) 

L’ampio spazio Magnana consente di rispettare il distanziamento fisico e praticare la vicinanza sociale e culturale

martedì 24 marzo 2020

Cesare Cases e «quaderni piacentini»

Il 24 marzo di cento anni fa nasceva Cesare Cases, critico letterario, germanista e amico dei "quaderni piacentini".
Un contributo di Piergiorgio Bellocchio




 
È normale datare l’inizio della collaborazione di Cesare Cases a «quaderni piacentini» con la pubblicazione di Un colloquio con Ernesto De Martino (n. 23-24, maggio-agosto 1965). Un testo memorabile, non tanto perché la rivista non fosse aperta a temi diciamo così “esistenziali” (che anzi le erano costitutivi fin dalla nascita), ma perché venivano fatti propri da un “fratello maggiore”, un autorevole esponente di quel marxismo che di tali temi tendeva a svalutare l’importanza, se non a censurarli. Insomma un piccolo “evento” se, non appena letto il dattiloscritto di Cases, Fortini (marxista “anomalo”, da sempre intrinseco di queste tematiche, e proprio anche per questo a noi giovani primo maestro) sentì il bisogno, quasi il dovere, di aggiungere un forte commento che uscì nello stesso fascicolo della rivista (Gli ultimi tempi. Note al dialogo di De Martino e Cases). Mentre nel fascicolo successivo tornava sul tema anche Giovanni Giudici (L’ottica della morte, QP n. 25, dicembre 1965). Del resto, è in quel periodo che Cases, il fedelissimo di Lukács, si avvicina al marxismo critico della Scuola di Francoforte, verso la quale aveva mantenuto a lungo forti riserve, anche in polemica con l’amico Solmi. Un avvicinamento destinato a svilupparsi negli anni successivi (in controtendenza rispetto a Solmi, che invece progressivamente se ne distanzierà). E con Adorno, si intensificherà l’interesse di Cases per Brecht (conflittuali tra loro, ma uniti dal conflitto con Lukács).
La collaborazione di Cases proseguirà generosa e ininterrotta (in totale fiducia, senza nessuna di quelle frizioni che hanno caratterizzato i rapporti della rivista con Fortini e altri) con saggi, articoli, recensioni, note, pastiches ironico-satirico-parodistici, di argomento letterario e politico. Ma è senz’altro il caso di unire i due termini, tanto le due dimensioni sono sempre intrecciate: l’incontro tra Cases e QP avviene subito su un terreno comune.
Ritengo utile darne l’elenco (sperando di non aver dimenticato qualcosa):
n. 23-24, maggio-agosto 1965: Un colloquio con Ernesto De Martino
n. 27, giugno 1966: Le idee politiche di Havemann e Lukács
n. 30, aprile 1967: Difesa di “un” cretino (a proposito delle Storie naturali di Primo Levi)
n. 33, febbraio 1968: La coesistenza culturale (a proposito di un libro di Ernst Fischer)
n. 37, marzo 1969: Una barca carica di utopie (su L’avvenire dell’Università di Fabig-Oberlercher)
ibid.: Robinson emancipato da Venerdì (recensione al romanzo di Michel Tournier)
n. 39, novembre 1969: Recensione a Il marxismo e la questione ebraica di Abram Léon
n. 40, aprile 1970: Processo politico e “morale della Storia”
n. 43, aprile 1971: Il baricentro nel sedere (a prop. de L’attore di Mario Soldati)
ibid.: A proposito del saggio di Lukács (Vecchia Kultur e nuova Kultur)
n. 44-45, ottobre 1971: Da Filemone a Toller (e ritorno)
n. 47, luglio 1972: Un filosofo in svendita. Dialoghetto su Armando Plebe
n. 50, luglio 1973: G. Benn difeso contro un suo adoratore
ibid.: Calvino al bando
n. 52, giugno 1974: Praga la Maga (recensione a A. M. Ripellino)
n. 53-54, dicembre 1974: Un confronto con Menzogna e sortilegio (su La Storia di Elsa Morante)
n. 56, luglio 1975: Werther in Germania Orientale (recensione a Ulrich Plenzdorf)
n. 58-59, marzo 1976: Il licenziamento “legale” del prof. Kleff (recensione a Peter Schneider)
n. 62-63, aprile 1977: Due gatti accademici
n. 69, dicembre 1978: Il poeta e la figlia del macellaio
n. 74, aprile 1980: Il ballo dei sospetti
n. 3 nuova serie, 1981: La fortuna critica di Kleist.
Mentre chiedo venia per eventuali omissioni, mi permetto di aggiungere ai contributi collaborativi di Cases a QP un’intervista rilasciata a una rivista studentesca di Tübingen (anzi, risposte a un questionario) nel maggio 1966 sui rapporti fra la teoria marxista e la prassi politica rivoluzionaria oggi (Revolutionäre Praxis heute) riportata quasi integralmente nel n. 28, settembre 1966, di QP (pp. 176-79). Anche se non indicato, scelta traduzione e commento sono di Renato Solmi. Non mi pare che questo testo di Cases compaia in nessuno dei libri che raccolgono la sua opera.
È un elenco di testi noti, talora notissimi, la cui materia è già stata oggetto di cospicua trattazione critica, e lo sarà pure in questo convegno. Considerati i limiti di tempo assegnatimi, ritengo più utile accennare, proprio perché assai meno noto, quando non ignorato del tutto, a un genere di contributo senz’altro “minore”, e tuttavia significativo.
Il primo di cui trovo traccia nella rivista è la traduzione di due poesie di H. M. Enzensberger e di Artur Lundkvist. Sono nel n. 15, febbraio-marzo 1964, oltre un anno prima del Colloquio con De Martino. I primi contatti risalgono almeno al ’63, quando Cases risiedeva ancora a Roma (i rapporti divennero ovviamente molto più frequenti dopo che Cases si stabilì a Pavia). Ma più mi preme ricordare che in quello stesso fascicolo, e collocata in apertura, c’era un’altra traduzione di Cases, non dal tedesco ma dall’inglese (fonte la “Monthly Review”): la “ballata” di Paul Jarrico Da che parte stai, sul conflitto Cina-Urss, dove sconcerto e sconforto si mascheravano sotto uno stile da canzonetta goliardica: otto strofe di quattro settenari l’una, secondo e quarto verso rimati, intervallati dal refrain “Tu da che parte stai” ripetuto quattro volte. Mi limito a un assaggio: “Il babbo era marxista / Anch’io lo sono, affé; / Una sola è la linea / Ma non si sa qual’ è”. (Il fascicolo immediatamente precedente – n.14, dicembre ‘63-gennaio ‘64 – aveva dedicato allo stesso argomento, sempre in apertura, un articolo di Edoarda Masi, manco a dirlo estremamente serio e documentato, I termini reali del conflitto Cina-Urss.) Ciò, per testimoniare che la rivista non si negava una certa leggerezza perfino a proposito dei problemi più importanti. Anche in questo l’incontro con Cases non poteva essere più felice e fortunato, oltre che fecondo.
Sempre precedentemente al Colloquio con De Martino, abbiamo di Cases la traduzione (dall’inglese) del capitolo di un libro di un matematico americano, James R. Newman, che ripete nel titolo il celeberrimo pamphlet swiftiano (Una modesta proposta), accorpato a altri due contributi del filosofo Günter Anders e del teologo Helmut Gollwitzer (Tre interventi sul problema della guerra nucleare, a cura di Renato Solmi, QP n. 16, maggio-giugno ‘64).
Nel n. 25 (dicembre ‘65), Brecht in America, traduzione (e nota) di sei poesie inedite che si riferiscono all’esilio negli Usa. Nel n. 27, giugno ‘66, la traduzione dal tedesco di poesie di Arnfrid Astel e Volker von Torne. Nel n. 28, settembre ‘66, una scelta, in anticipo sull’uscita del libro, dal Me-Ti. Libro delle svolte, con un’ampia nota introduttiva. E ancora, Tre poeti tedeschi (Wolf Biermann, Yaak Karsunke, Günter Kunert). Se si considera la già ricordata intervista Revolutionäre Praxis heute, Cases è presente nello stesso numero (28) con ben tre contributi. Nel n. 36, novembre ‘68, un altro inedito di Brecht (traduzione e relativa nota), Lettere a un americano adulto: tre frammenti in prosa, che si riferiscono allo stesso periodo delle poesie uscite nel numero 25 della rivista.
La collaborazione di Cases a “Quaderni piacentini” va poi al di là dei contributi pubblicati (non mi stupirei se, tra saggi, recensioni, traduzioni ecc., ne avesse fornito in numero superiore a ogni altro collaboratore: a prescindere da ogni considerazione sulla qualità, sempre alta, spesso straordinaria). Dovrei insomma dire qualcosa sulla partecipazione di Cases alla vita della rivista: stimoli, suggerimenti, correzioni; scambio e confronto delle idee; discussioni spesso originate da questo o quell’articolo (i più importanti passavano al vaglio della redazione). Ciò avveniva in riunioni plenarie, rare; molto più frequenti quelle a tre-quattro-cinque membri, tra Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma, talora perfino a Piacenza. Largo uso del telefono, nonché del mezzo allora ancora in uso: la corrispondenza epistolare. Se le mie carte non versassero in condizioni di disperato marasma, avrei potuto leggerne qualcuna, per dare un’idea della disponibilità, della prontezza e dello scrupolo con cui Cases assolveva questi compiti, e soprattutto della esattezza e sicurezza dei suoi giudizi.
Cases era peraltro contrarissimo alla collegialità. La riteneva pericolosa, potenzialmente distruttiva. Temeva soprattutto l’ipercriticismo e l’umoralità di Fortini. Timori condivisi da Sebastiano Timpanaro e Roberto Roversi. Anche se formalizzata solo nel n. 43, aprile ‘71, la direzione collettiva era di fatto in funzione da diversi anni. Qualcuno potrebbe stupirsi che insieme a Baranelli, Beccalli, Ciafaloni, Donolo, Jervis, Masi, Salvati e Stame, che si affiancavano a Cherchi, Fofi e al sottoscritto, non ci fossero anche Fortini, Cases, Solmi, Timpanaro, partecipi non meno degli altri al lavoro della rivista. Proprio per evitare il “rischio” Fortini (che magari non avrebbe accettato), si ricorse all’escamotage di escludere in blocco i “fratelli maggiori”, e quindi con Cases, Solmi, Timpanaro (che non ci tenevano per niente) anche Fortini, senza che la cosa potesse suonare offensiva.
Cases si sentiva in totale sintonia con la rivista, ma preferiva il ruolo del consigliere, del consulente, dell’amico, più che del condirettore. Perfettamente a casa sua, ma meglio inquilino che padrone. Ricorressimo pure a lui per un parere, per risolvere casi incerti e dubbi. Quanto alla direzione, decidessimo noi, soprattutto l’ “esecutivo”: Cherchi e il sottoscritto, nonché Fofi. Una fiducia ben riposta e credo meritata. E tuttavia non posso non essergliene grato.
Una piccola digressione, ma sempre in tema. La Tesi di dottorato di Michele Sisto La letteratura tedesca nel campo letterario italiano comprende anche un capitolo ben compendiato dal titolo: Da Brecht a Celan, da Lukács a Adorno. La letteratura tedesca nei “Quaderni piacentini”. Una presenza e un’influenza estremamente significativa, anche grazie a collaboratori del calibro di Cases, Fortini, Solmi, Amodio, e ancora Sergio Bologna, Carlo Donolo, Giorgio Backhaus, Leonardo Ceppa, Furio Cerutti, Sandro Barbera e altri, nonché all’interesse di non germanisti quali Berardinelli, il sottoscritto ecc. Lo studio di Sisto dedica la maggior attenzione agli autori e ai contributi critici più importanti. Ma senza trattenere la sua curiosità da zone filologicamente insicure. E coglie perfettamente nel segno, quando in un pezzo anonimo della rubrica “Il franco tiratore”, dedicato a scrittori tedeschi antologizzati nel n. 9 della rivista “Il Menabò”, diretta da Vittorini e Calvino, rintraccia la mano di Cases: “se dietro la nota non c’è lui in persona”, dice Sisto, “certo il dialogo (e l’accordo) tra i collaboratori, almeno sulla letteratura tedesca, è molto intenso”. (Si tratta ancora del pluricitato numero 28 di QP, cosicché i contributi di Cases nello stesso numero, passerebbero da tre a quattro.) Anche quest’esempio dà un’idea della “circolarità” del lavoro nella rivista. Oltre i pezzi d’autore firmati, c’erano molti pezzi d’autore sì ma anonimi, e ancora molti altri dove si mescolavano anonimamente i contributi di diversi collaboratori.
In più occasioni Cases ha dichiarato generosamente il proprio debito verso i QP. Il rapporto va capovolto, debitori sono i QP. Quello che ho imparato da Cases è incomparabilmente superiore a quanto Cases può avere imparato da me. Ciò che vale anche per Cherchi, Fofi e tanti altri: debitori nei confronti di Cases, così come di Fortini, Solmi, Timpanaro ecc.
È vero però che qualcosa QP ha insegnato ai “maestri”. Intendo un certo coraggio, che alcuni qualificherebbero più volentieri come imprudenza o sfacciataggine. Coloro che hanno fondato la rivista, credendoci anche quando era povera cosa, pochi fogli ciclostilati, tiratura 200 copie, non hanno avuto paura dei propri limiti, delle lacune e delle difficoltà, non hanno avuto paura di sbagliare (come è pur successo più volte), accollandosi il compito via via più gravoso della totale autogestione, per oltre vent’anni. Hanno messo a disposizione anche dei “maestri” un luogo in cui potessero pienamente riconoscersi e esprimersi liberamente (uno strumento che i “maestri” non sarebbero strati capaci di creare, e forse neppure di concepire). Un luogo, uno strumento e uno scopo. In questo, sì, l’allievo ha insegnato qualcosa al maestro.
Piergiorgio Bellocchio

giovedì 20 febbraio 2020

La tessera 2020 dedicata a Leone Ginzburg


Leone Ginzburg (1909-1944)


 
Leone Ginzburg nasce a Odessa nel 1909 nella famiglia ebrea di Fëdor Nikolaevič e Vera Griliches. Con loro vive dal 1902 anche l’italiana Maria Segré: insegnante di francese, è sorella del padre naturale di Leone, Renzo, con il quale Vera ha avuto una relazione a Viareggio, dove i Ginzburg sono soliti trascorrere le vacanze estive. Allo scoppio della Grande guerra, la madre torna a Odessa con i figli maggiori, mentre Leone vive fino al ‘l9 tra Roma e Viareggio, affidato alle cure di Maria, quasi una seconda madre. I Ginzburg, che pure hanno inizialmente sostenuto la Rivoluzione, nel ‘20 lasciano la Russia per Torino e poi Berlino (il padre vi ha avviato un’attività di import-export): qui Leone riapprende la lingua materna e frequenta la scuola russa. Quando coi famigliari rientra a Torino, viene iscritto al liceo D'Azeglio, sezione A: è in classe con Giorgio Agosti e Norberto Bobbio, ha come insegnanti gli antifascisti Zino Zini e Umberto Cosmo; nella B insegna Augusto Monti, intellettuale gobettiano, con cui il giovanissimo Ginzburg collabora nella gestione della biblioteca. Lettore onnivoro e poliglotta (russo, italiano, francese), frequentatore di teatri e concerti, si segnala per cultura e intransigenza etica, non disgiunte dal piacere delle compagnie, anche femminili. Così ricorda Bobbio: «La nostra classe, o per lo meno alcuni di noi, avevano acquistato una speciale sensibilità... per la presenza di un giovane precocissimo, che aveva, a quindici anni, quando entrò al D'Azeglio, tal vastità di cultura, tal maturità di giudizio e tal altezza di coscienza morale da suscitar meraviglia nei professori – e uno di quei professori [Monti] lo ha chiamato discepolo-maestro – e schietta ammirazione, senza invidia, nei compagni: parlo di Leone Ginzburg».

Delle due passioni di una vita intensa terminata prima dei 35 anni, «pensare i libri» e «far la politica», la prima è davvero precoce. Nel 1927, l’anno della Maturità, termina la traduzione del Taras Bul’ba di Gogol e avvia quelle di Anna Karenina e Sonata a Kreutzer di Tolstoj, cui seguono Nido di nobili di Turgenev e La donna di picche di Puškin. L’attenzione alla traduzione «come scelta di lingua, di accuratezza nella versione del testo, di innesto vero e proprio di culture diverse in quella italiana» (L. Mangoni) è in lui anche prosecuzione dell’europeismo gobettiano. Scrive diciannovenne nel 1928: «La nostra cultura è europea e dipende più che dalle contingenze interne e variabili dei popoli, dal comune clima intellettuale in cui vivono involontariamente i creatori, i poeti», russi inclusi. Inizialmente iscritto a Giurisprudenza, si laurea in Lettere nel ‘31 con una tesi su Maupassant: ne segue una borsa di studio con cui nel ‘32 si reca a Parigi. Frequenta l'ambiente dei fuorusciti, conosce Carlo Rosselli e Salvemini, incontra l’amato Croce: all’“intransigenza culturale”, decide di affiancare quella politica. Tornato a Torino entra nel movimento antifascista di Giustizia e Libertà e collabora ai suoi Quaderni, firmando con la sigla M.S., in omaggio alla Segré: il «far la politica» segna ormai radicalmente la sua vita.
Cittadino italiano nel ‘31, come desiderava, alla fine del ‘32 ottiene la libera docenza in letteratura russa e tiene un corso su Puškin. Quando il regime chiede il giuramento di fedeltà anche ai liberi docenti, rifiuta, rinunciando subito e definitivamente a un’attività accademica che pur gli si prospettava brillante. Alla fine del ‘33 condivide con Giulio Einaudi, figlio del senatore Luigi, la decisione di registrare il marchio dello Struzzo, mentre insegna alle Magistrali. Ma nel 1934 è arrestato con altri e condannato dal Tribunale speciale. Sconta due anni nel carcere di Civitavecchia, dove tra l’altro rivede per Treves una traduzione della Storia della rivoluzione russa di Trockij, su cui già aveva scritto Trockij storico della rivoluzione. Al ritorno a Torino Einaudi gli offre uno stipendio di 600 lire mensili: sposa Natalia Levi (dal matrimonio nasceranno Carlo, Andrea e poi Alessandra), che così nel 1988 ricostruisce quegli anni: «La casa editrice è stata creata e ideata da Leone Ginzburg… Agli inizi era Leone solo, forse un anno dopo anche a Pavese è stato offerto uno stipendio fisso. Eravamo in quattro: io come ospite (non richiesto e casuale), Einaudi come editore, Leone e Pavese. Leone sapeva tutto sulla narrativa tedesca francese e russa; Pavese sapeva tutto sulla narrativa inglese e americana; e l’uno e l’altro avevano la religione delle traduzioni… e così è nata la collana dei Narratori Stranieri… Uscirono poi, fra il ‘37 e il ‘38, i primi volumi della collana dei Saggi… e in pochi mesi quella piccola casa editrice squattrinata divenne famosa: e la gente vide in essa un segno che l’Italia si risvegliava. Recentemente Einaudi ha detto che Leone Ginzburg era stato il padre della casa editrice… ne è stato il pensiero e l’anima, anche dal confino, e per molto tempo anche dopo che era morto».
Sia nel 1933-34 che tra il ‘36 e il ‘40, il suo lavoro editoriale è instancabile: dalla progettazione delle collane alla revisione delle traduzioni, dall’attenzione costante per gli aspetti grafici e tipografici alla cura degli autori (un esempio fra i tanti, la corrispondenza con Montale per la pubblicazione delle Occasioni nel 1938-39. Il poeta, incerto lui stesso tra due varianti di un verso, si rimette a Ginzburg per la decisione: «scegli te» gli scrive). Dal 1940, all'entrata in guerra dell'Italia, è confinato a Pizzoli (L'Aquila), dove lo raggiungono la moglie e i due figli. Rivede la sua traduzione di Guerra e pace, scrive prefazioni per la già tradotta Sonata a Kreutzer, per La figlia del capitano di Puškin e diversi romanzi di Dostoevskij (Il giocatoreL'idiotaMemorie del sottosuoloI demoni). Attraverso cartoline postali in cui, per superare la censura, si finge un comune lettore, polemizza con Einaudi quando gli sembra che per la fretta si trascuri la qualità editoriale di un libro.
Caduto il Fascismo, il 26 luglio 1943 Ginzburg lascia Pizzoli e riprende contatto a Roma con il Partito d'Azione, erede di Giustizia e Libertà. Il 27 agosto è a Milano per una riunione con Colorni e Spinelli: all’ordine del giorno, gli Stati Uniti d'Europa. Partecipa a Firenze al congresso clandestino del partito, presenti Parri, Lussu, Lombardi, Bauer ed Enriques-Agnoletti, che gli affidano, dopo l'8 settembre, la direzione del giornale clandestino Italia libera, nella cui redazione è arrestato e condotto a Regina Coeli il 20 novembre. Trasferito al braccio controllato dai Tedeschi, è torturato. Sandro Pertini, detenuto con lui, ricorda di avergli sentito dire, sanguinante: «Guai a noi se domani…nella nostra condanna investiremo tutto il popolo tedesco. Dobbiamo distinguere tra popolo e nazisti». Il 4 febbraio sta molto male e scrive un'ultima lettera a Natalia, che si può leggere in Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. La mattina del 5 febbraio è trovato morto. 

giovedì 30 gennaio 2020

Piergiorgio Bellocchio - Un seme di umanità Note di letteratura

ATTENZIONE:
l'iniziativa è stata rinviata
a data da destinarsi


TEATRO DEI FILODRAMMATICI
VIA SANTA FRANCA N. 33


Piergiorgio Bellocchio
Un seme di umanità
Note di letteratura

NE DISCUTONO IN PUBBLICO CON L’AUTORE
ALFONSO BERARDINELLI e ANGELA BORGHESI

«Come spesso succede, anche per me in gioventù la lettura di romanzi è stata una passione dominante. Credevo che la mia vocazione fosse quella di narratore. Fra le tante letture necessarie e caotiche, i miei interessi si sono comunque sempre più concentrati su quegli autori e quei libri con cui sentivo di avere una particolare sintonia. In effetti, ora, mettendo insieme questi scritti mi rendo conto che la parzialità delle mie scelte non è stata del tutto casuale: individua o indica molte mie reali preferenze. Anche se alcuni sono stati commissionati da editori per collane economiche – cosa che spiega la forma e il taglio delle pagine su Casanova, Stendhal, Dickens, Flaubert o il romanzo russo –, la necessità di un’esposizione piuttosto didascalica la trovo tuttavia a me congeniale oltre che doverosa (e da essa mi sono distaccato solo in parte in altri testi). Benché con il passare degli anni la scrittura d’invenzione mi abbia interessato progressivamente meno a favore di scritture diaristiche, memorialistiche, storico-politiche, l’occasione editoriale mi ha sollecitato a tornare a certe mie passioni del passato: il risultato è perciò non di critica letteraria in senso rigoroso, ma comporta la tendenza a leggere di preferenza quella narrativa che illumina aspetti della storia sociale, verso i quali mi indirizzavano anche alcuni dei critici da cui mi è sembrato di imparare di più, come Edmund Wilson, Lukács, Adorno, senza dimenticare la saggistica di scrittori come Baudelaire, Proust, D.H. Lawrence, Orwell, Fortini... Più che dall'invenzione sono sempre stato attratto dalle testimonianze personali e dirette, dal giornalismo di reportage e dall'autobiografia». 
Piergiorgio Bellocchio (dalla Premessa a Un seme di umanità. Note di letteratura, Quodlibet 2020)

Piergiorgio Bellocchio (Piacenza 1931) ha fondato con Grazia Cherchi e diretto per oltre vent'anni i «quaderni piacentini» (1962-84). Ha poi pubblicato «Diario», rivista “personale” interamente scritta con Alfonso Berardinelli (reprint integrale, Diario. 1985-1993, Quodlibet 2010). Dal 1977 al 1980 ha diretto a Milano la casa editrice Gulliver. Ha collaborato a vari periodici («Questo e altro», «Rendiconti», «Linea d’ombra», «Panorama», «Illustrazione italiana», «Tempo illustrato», «l’Unita»-Libri, «Paralleli», «King»), ha scritto prefazioni, voci per opere miscellanee, note di costume. Ha esordito come narratore con tre racconti, I piacevoli servi (Mondadori 1966). La sua produzione critico-saggistica è raccolta in Dalla parte del torto (Einaudi 1989), Eventualmente (Rizzoli 1993), L’astuzia delle passioni. 1962-1983 (Rizzoli 1995), Oggetti smarriti (Baldini&Castoldi 1996), Al di sotto della mischia. Satire e saggi (Libri Scheiwiller 2007). Con Gianni D’Amo ha promosso a Piacenza nel 2006 l’associazione Cittàcomune, tuttora in piena attività. 

Alfonso Berardinelli ha insegnato Letteratura contemporanea all'Università di Venezia fino alle dimissioni volontarie nel 1995. Già redattore dei «quaderni piacentini» negli anni Settanta e primi Ottanta, con il solo Bellocchio è stato coautore di «Diario» dal 1985 al 1993. Critico militante su diversi giornali e riviste, ha pubblicato tra l’altro: Il critico senza mestiere (Il Saggiatore 1983), La poesia verso la prosa (Bollati Boringhieri 1994), L’eroe che pensa (Einaudi 1997), La forma del saggio (Marsilio 2002 e 2008), Che noia la poesia (con H. M. Enzesberger, Einaudi 2006), Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione (Quodlibet 2007), Poesia non poesia (Einaudi 2008). Tra i suoi ultimi libri: Leggere è un rischio e Aforismi Anacronismi (Nottetempo 2012 e 2015); Discorso sul romanzo moderno. Da Cervantes al Novecento (Carocci 2016). 

Angela Borghesi insegna Letteratura italiana contemporanea all'Università di Milano Bicocca. Dopo le monografie su Giacomo Debenedetti e Francesco De Sanctis, ha continuato a dedicarsi alla storia della critica letteraria con il volume Genealogie (Quodlibet 2011). Ha pubblicato saggi su Caproni, Nove, Grisoni, Zanzotto, Fenoglio, Calvino. Ha colto e studiato la profonda influenza di Simone Weil nell'opera di Elsa Morante e Anna Maria Ortese: ne sono nati il volume Una storia invisibile. Morante Ortese Weil (Quodlibet 2015) e la raccolta di inediti e dispersi di Anna Maria Ortese Le Piccole Persone. In difesa degli animali e altri scritti (Adelphi 2016). Nel 2018 ha pubblicato da Quodlibet L’anno della «Storia». 1974-75. Il dibattito politico e culturale sul romanzo di Elsa Morante. Cronaca e Antologia della critica

venerdì 22 novembre 2019

ROSA LUXEMBURG LA POLITICA E LA VITA

AUDITORIUM della FONDAZIONE PIACENZA 
VIA S. EUFEMIA 12 
Gli incontri sono gratuiti e aperti a tutti gli interessati 

Giovedì 28 novembre ore 21 incontro conclusivo 
ROSA LUXEMBURG LA POLITICA E LA VITA 

«Rimanere un essere umano è la cosa principale… Rimanere umani significa gettare con gioia la propria vita “sulla grande bilancia del destino”, quando è necessario farlo, ma al contempo gioire di un giorno di sole e di ogni bella nuvola…» (dicembre 1916) 

L’amore e le amicizie, le lotte e l’impegno collettivi. Tra grande storia e scelte quotidiane, l’attualità della testimonianza luxemburghiana su classe e individuo, libertà-democrazia-socialismo possibile 

Ne parla e discute coi presenti 

Massimo Cappitti 

Massimo Cappitti è docente di Filosofia nelle scuole superiori e saggista. Fa parte del Centro Franco Fortini di Siena. Collabora a numerose riviste (Carmilla, Carta, L’Indice dei libri del mese, L’Ospite ingrato, Il Ponte) e con la Fondazione L. Micheletti di Brescia al corposo progetto editoriale L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, nel primo volume del quale (L’età del comunismo sovietico. Europa 1900-1945, Jaka Book, 2010) ha pubblicato il saggio Rosa Luxemburg: rivoluzione e democrazia. Riprendendo il saggio sulla Luxemburg in Pensare dal limite. Contributi di teoria critica (Zona editore, 2013), Cappitti la accomuna ad altri pensatori delle “dissonanze” e della “discontinuità”.

LA ROSA ROSSA 

Cittàcomune ha proposto quattro incontri sulla vita e l’impegno di Rosa Luxemburg (1871-1919), nel centenario della morte

QUANDO RISCOPRIMMO LA RIVOLUZIONARIA ROSA


 LA ROSA ROSSA
Cittàcomune propone quattro incontri sulla vita e l’impegno di Rosa Luxemburg (1871-1919), nel centenario della tragica morte

AUDITORIUM della FONDAZIONE
PIACENZA - VIA S. EUFEMIA 12
Gli incontri sono gratuiti e aperti a tutti gli interessati

Giovedì 21 novembre ore 21 terzo incontro


QUANDO RISCOPRIMMO
LA RIVOLUZIONARIA ROSA
Le idee della Luxemburg e
la stagione dei movimenti.
Una testimonianza dal ‘68

Ne parla e discute coi presenti
Aldo Garzia






Aldo Garzia, giornalista e scrittore, ha lavorato nelle redazioni di Pace e guerra e del manifesto. Ha diretto i mensili Aprile e Palomar. Dopo aver vissuto lunghi periodi a L’Avana, ha pubblicato volumi sulla realtà cubana: C come Cuba (Elleu Multimedia 2001) e Cuba, dove vai? (Edizioni Alegre 2005). Tra i suoi libri sulla sinistra europea, Zapatero. Il socialismo dei cittadini (Feltrinelli 2006) e Olof Palme. Vita e assassinio di un socialista europeo (Ed. Riuniti 2007). Nel 2017 ha curato, con Gabrio Vitali, Eliseo Milani. Eleganza operaia e stile comunista. Biografia, scritti, testimonianze (Lubrinia-Lem).

"ROSA L." - film di Margarethe Von Trotta

LA ROSA ROSSA

Cittàcomune propone quattro incontri sulla vita e l’impegno di
Rosa Luxemburg (1871-1919), nel centenario della tragica morte

AUDITORIUM della FONDAZIONE
PIACENZA - VIA S. EUFEMIA 12
Gli incontri sono gratuiti e aperti a tutti gli interessati
Giovedì 14 novembre ore 21 secondo incontro

«ROSA L.»
di Margarethe von Trotta
Proiezione del film con Barbara Sukowa
(1986, 122 minuti), sottotitolato in italiano


«Rosa L.», di Margarethe von Trotta (Rft-Cecoslovacchia, 1986, 122’, con Barbara Sukowa, Daniel Olbrychski, Otto Sander, Adelheid Arndt). 

Dall’infanzia polacca all’incontro con l’amore a Zurigo, dai primi congressi dell’Internazionale socialista e alla rivoluzione russa del 1905, dal dibattito sullo sciopero politico di massa alla Grande Guerra, dalla rivoluzione del 1917 alla fallita insurrezione spartakista del ‘19: in un film che si segnala per la particolare attenzione alla dimensione esistenziale, quasi tre decenni di grande storia e impegno personale della rivoluzionaria polacca, filtrati attraverso il ricordo negli anni di prigionia.

La proiezione con sottotitoli in italiano sarà preceduta da un breve 
presentazione di Luigi Boledi della Fondazione Cineteca Italiana di Milano


mercoledì 30 ottobre 2019

IL TEMPO di ROSA LUXEMBURG

LA ROSA ROSSA
Cittàcomune propone quattro

 incontri sulla vita e l’impegno di

Rosa Luxemburg (1871-1919), 

nel centenario della tragica morte




Giovedì 7 novembre ore 21
primo incontro

IL TEMPO

di ROSA

LUXEMBURG

Tra riforme e rivoluzione,
il movimento socialista e
la tragedia della Grande Guerra

ne parla e discute con

presenti

Gianni D’Amo

Gianni D’Amo insegna Storia e Filosofia al liceo statale di Codogno (Lodi). Giovanissimo ha partecipato al movimento del Sessantotto e successivamente collaborato a varie testate di Nuova sinistra. Ha affiancato all'impegno politico la ricerca e lo studio, in particolare della teoria marxiana e dei marxismi, nel loro intreccio con la storia del movimento operaio novecentesco. Consigliere comunale a Piacenza dal 2002 al 2012, nel 2006 ha fondato con Piergiorgio Bellocchio e altri l’associazione politico-culturale Cittàcomune, di cui è attualmente il presidente.