"Bloggopolis"

La Piazza delle Idee nella Città del Dialogo

Le idee sono il motore di una realtà che vive e respira al di là della nostra sola mente. Ecco allora spuntare Bloggopolis, uno spazio contemporaneo per dar voce a una città saggia e antica che vuole parlare, dialogare e conversare del presente e del futuro. Una piazza in cui raccogliere, attraverso i vostri commenti, il 'sentiment' di una popolazione a volte silenziosa e timida, sicuramente generosa e propositiva. Una polis del nostro tempo, la cui piazza virtuale sia specchio di una città che ci sta a cuore. Piacenza ‘città comune’.


martedì 24 marzo 2020

Cesare Cases e «quaderni piacentini»

Il 24 marzo di cento anni fa nasceva Cesare Cases, critico letterario, germanista e amico dei "quaderni piacentini".
Un contributo di Piergiorgio Bellocchio




 
È normale datare l’inizio della collaborazione di Cesare Cases a «quaderni piacentini» con la pubblicazione di Un colloquio con Ernesto De Martino (n. 23-24, maggio-agosto 1965). Un testo memorabile, non tanto perché la rivista non fosse aperta a temi diciamo così “esistenziali” (che anzi le erano costitutivi fin dalla nascita), ma perché venivano fatti propri da un “fratello maggiore”, un autorevole esponente di quel marxismo che di tali temi tendeva a svalutare l’importanza, se non a censurarli. Insomma un piccolo “evento” se, non appena letto il dattiloscritto di Cases, Fortini (marxista “anomalo”, da sempre intrinseco di queste tematiche, e proprio anche per questo a noi giovani primo maestro) sentì il bisogno, quasi il dovere, di aggiungere un forte commento che uscì nello stesso fascicolo della rivista (Gli ultimi tempi. Note al dialogo di De Martino e Cases). Mentre nel fascicolo successivo tornava sul tema anche Giovanni Giudici (L’ottica della morte, QP n. 25, dicembre 1965). Del resto, è in quel periodo che Cases, il fedelissimo di Lukács, si avvicina al marxismo critico della Scuola di Francoforte, verso la quale aveva mantenuto a lungo forti riserve, anche in polemica con l’amico Solmi. Un avvicinamento destinato a svilupparsi negli anni successivi (in controtendenza rispetto a Solmi, che invece progressivamente se ne distanzierà). E con Adorno, si intensificherà l’interesse di Cases per Brecht (conflittuali tra loro, ma uniti dal conflitto con Lukács).
La collaborazione di Cases proseguirà generosa e ininterrotta (in totale fiducia, senza nessuna di quelle frizioni che hanno caratterizzato i rapporti della rivista con Fortini e altri) con saggi, articoli, recensioni, note, pastiches ironico-satirico-parodistici, di argomento letterario e politico. Ma è senz’altro il caso di unire i due termini, tanto le due dimensioni sono sempre intrecciate: l’incontro tra Cases e QP avviene subito su un terreno comune.
Ritengo utile darne l’elenco (sperando di non aver dimenticato qualcosa):
n. 23-24, maggio-agosto 1965: Un colloquio con Ernesto De Martino
n. 27, giugno 1966: Le idee politiche di Havemann e Lukács
n. 30, aprile 1967: Difesa di “un” cretino (a proposito delle Storie naturali di Primo Levi)
n. 33, febbraio 1968: La coesistenza culturale (a proposito di un libro di Ernst Fischer)
n. 37, marzo 1969: Una barca carica di utopie (su L’avvenire dell’Università di Fabig-Oberlercher)
ibid.: Robinson emancipato da Venerdì (recensione al romanzo di Michel Tournier)
n. 39, novembre 1969: Recensione a Il marxismo e la questione ebraica di Abram Léon
n. 40, aprile 1970: Processo politico e “morale della Storia”
n. 43, aprile 1971: Il baricentro nel sedere (a prop. de L’attore di Mario Soldati)
ibid.: A proposito del saggio di Lukács (Vecchia Kultur e nuova Kultur)
n. 44-45, ottobre 1971: Da Filemone a Toller (e ritorno)
n. 47, luglio 1972: Un filosofo in svendita. Dialoghetto su Armando Plebe
n. 50, luglio 1973: G. Benn difeso contro un suo adoratore
ibid.: Calvino al bando
n. 52, giugno 1974: Praga la Maga (recensione a A. M. Ripellino)
n. 53-54, dicembre 1974: Un confronto con Menzogna e sortilegio (su La Storia di Elsa Morante)
n. 56, luglio 1975: Werther in Germania Orientale (recensione a Ulrich Plenzdorf)
n. 58-59, marzo 1976: Il licenziamento “legale” del prof. Kleff (recensione a Peter Schneider)
n. 62-63, aprile 1977: Due gatti accademici
n. 69, dicembre 1978: Il poeta e la figlia del macellaio
n. 74, aprile 1980: Il ballo dei sospetti
n. 3 nuova serie, 1981: La fortuna critica di Kleist.
Mentre chiedo venia per eventuali omissioni, mi permetto di aggiungere ai contributi collaborativi di Cases a QP un’intervista rilasciata a una rivista studentesca di Tübingen (anzi, risposte a un questionario) nel maggio 1966 sui rapporti fra la teoria marxista e la prassi politica rivoluzionaria oggi (Revolutionäre Praxis heute) riportata quasi integralmente nel n. 28, settembre 1966, di QP (pp. 176-79). Anche se non indicato, scelta traduzione e commento sono di Renato Solmi. Non mi pare che questo testo di Cases compaia in nessuno dei libri che raccolgono la sua opera.
È un elenco di testi noti, talora notissimi, la cui materia è già stata oggetto di cospicua trattazione critica, e lo sarà pure in questo convegno. Considerati i limiti di tempo assegnatimi, ritengo più utile accennare, proprio perché assai meno noto, quando non ignorato del tutto, a un genere di contributo senz’altro “minore”, e tuttavia significativo.
Il primo di cui trovo traccia nella rivista è la traduzione di due poesie di H. M. Enzensberger e di Artur Lundkvist. Sono nel n. 15, febbraio-marzo 1964, oltre un anno prima del Colloquio con De Martino. I primi contatti risalgono almeno al ’63, quando Cases risiedeva ancora a Roma (i rapporti divennero ovviamente molto più frequenti dopo che Cases si stabilì a Pavia). Ma più mi preme ricordare che in quello stesso fascicolo, e collocata in apertura, c’era un’altra traduzione di Cases, non dal tedesco ma dall’inglese (fonte la “Monthly Review”): la “ballata” di Paul Jarrico Da che parte stai, sul conflitto Cina-Urss, dove sconcerto e sconforto si mascheravano sotto uno stile da canzonetta goliardica: otto strofe di quattro settenari l’una, secondo e quarto verso rimati, intervallati dal refrain “Tu da che parte stai” ripetuto quattro volte. Mi limito a un assaggio: “Il babbo era marxista / Anch’io lo sono, affé; / Una sola è la linea / Ma non si sa qual’ è”. (Il fascicolo immediatamente precedente – n.14, dicembre ‘63-gennaio ‘64 – aveva dedicato allo stesso argomento, sempre in apertura, un articolo di Edoarda Masi, manco a dirlo estremamente serio e documentato, I termini reali del conflitto Cina-Urss.) Ciò, per testimoniare che la rivista non si negava una certa leggerezza perfino a proposito dei problemi più importanti. Anche in questo l’incontro con Cases non poteva essere più felice e fortunato, oltre che fecondo.
Sempre precedentemente al Colloquio con De Martino, abbiamo di Cases la traduzione (dall’inglese) del capitolo di un libro di un matematico americano, James R. Newman, che ripete nel titolo il celeberrimo pamphlet swiftiano (Una modesta proposta), accorpato a altri due contributi del filosofo Günter Anders e del teologo Helmut Gollwitzer (Tre interventi sul problema della guerra nucleare, a cura di Renato Solmi, QP n. 16, maggio-giugno ‘64).
Nel n. 25 (dicembre ‘65), Brecht in America, traduzione (e nota) di sei poesie inedite che si riferiscono all’esilio negli Usa. Nel n. 27, giugno ‘66, la traduzione dal tedesco di poesie di Arnfrid Astel e Volker von Torne. Nel n. 28, settembre ‘66, una scelta, in anticipo sull’uscita del libro, dal Me-Ti. Libro delle svolte, con un’ampia nota introduttiva. E ancora, Tre poeti tedeschi (Wolf Biermann, Yaak Karsunke, Günter Kunert). Se si considera la già ricordata intervista Revolutionäre Praxis heute, Cases è presente nello stesso numero (28) con ben tre contributi. Nel n. 36, novembre ‘68, un altro inedito di Brecht (traduzione e relativa nota), Lettere a un americano adulto: tre frammenti in prosa, che si riferiscono allo stesso periodo delle poesie uscite nel numero 25 della rivista.
La collaborazione di Cases a “Quaderni piacentini” va poi al di là dei contributi pubblicati (non mi stupirei se, tra saggi, recensioni, traduzioni ecc., ne avesse fornito in numero superiore a ogni altro collaboratore: a prescindere da ogni considerazione sulla qualità, sempre alta, spesso straordinaria). Dovrei insomma dire qualcosa sulla partecipazione di Cases alla vita della rivista: stimoli, suggerimenti, correzioni; scambio e confronto delle idee; discussioni spesso originate da questo o quell’articolo (i più importanti passavano al vaglio della redazione). Ciò avveniva in riunioni plenarie, rare; molto più frequenti quelle a tre-quattro-cinque membri, tra Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma, talora perfino a Piacenza. Largo uso del telefono, nonché del mezzo allora ancora in uso: la corrispondenza epistolare. Se le mie carte non versassero in condizioni di disperato marasma, avrei potuto leggerne qualcuna, per dare un’idea della disponibilità, della prontezza e dello scrupolo con cui Cases assolveva questi compiti, e soprattutto della esattezza e sicurezza dei suoi giudizi.
Cases era peraltro contrarissimo alla collegialità. La riteneva pericolosa, potenzialmente distruttiva. Temeva soprattutto l’ipercriticismo e l’umoralità di Fortini. Timori condivisi da Sebastiano Timpanaro e Roberto Roversi. Anche se formalizzata solo nel n. 43, aprile ‘71, la direzione collettiva era di fatto in funzione da diversi anni. Qualcuno potrebbe stupirsi che insieme a Baranelli, Beccalli, Ciafaloni, Donolo, Jervis, Masi, Salvati e Stame, che si affiancavano a Cherchi, Fofi e al sottoscritto, non ci fossero anche Fortini, Cases, Solmi, Timpanaro, partecipi non meno degli altri al lavoro della rivista. Proprio per evitare il “rischio” Fortini (che magari non avrebbe accettato), si ricorse all’escamotage di escludere in blocco i “fratelli maggiori”, e quindi con Cases, Solmi, Timpanaro (che non ci tenevano per niente) anche Fortini, senza che la cosa potesse suonare offensiva.
Cases si sentiva in totale sintonia con la rivista, ma preferiva il ruolo del consigliere, del consulente, dell’amico, più che del condirettore. Perfettamente a casa sua, ma meglio inquilino che padrone. Ricorressimo pure a lui per un parere, per risolvere casi incerti e dubbi. Quanto alla direzione, decidessimo noi, soprattutto l’ “esecutivo”: Cherchi e il sottoscritto, nonché Fofi. Una fiducia ben riposta e credo meritata. E tuttavia non posso non essergliene grato.
Una piccola digressione, ma sempre in tema. La Tesi di dottorato di Michele Sisto La letteratura tedesca nel campo letterario italiano comprende anche un capitolo ben compendiato dal titolo: Da Brecht a Celan, da Lukács a Adorno. La letteratura tedesca nei “Quaderni piacentini”. Una presenza e un’influenza estremamente significativa, anche grazie a collaboratori del calibro di Cases, Fortini, Solmi, Amodio, e ancora Sergio Bologna, Carlo Donolo, Giorgio Backhaus, Leonardo Ceppa, Furio Cerutti, Sandro Barbera e altri, nonché all’interesse di non germanisti quali Berardinelli, il sottoscritto ecc. Lo studio di Sisto dedica la maggior attenzione agli autori e ai contributi critici più importanti. Ma senza trattenere la sua curiosità da zone filologicamente insicure. E coglie perfettamente nel segno, quando in un pezzo anonimo della rubrica “Il franco tiratore”, dedicato a scrittori tedeschi antologizzati nel n. 9 della rivista “Il Menabò”, diretta da Vittorini e Calvino, rintraccia la mano di Cases: “se dietro la nota non c’è lui in persona”, dice Sisto, “certo il dialogo (e l’accordo) tra i collaboratori, almeno sulla letteratura tedesca, è molto intenso”. (Si tratta ancora del pluricitato numero 28 di QP, cosicché i contributi di Cases nello stesso numero, passerebbero da tre a quattro.) Anche quest’esempio dà un’idea della “circolarità” del lavoro nella rivista. Oltre i pezzi d’autore firmati, c’erano molti pezzi d’autore sì ma anonimi, e ancora molti altri dove si mescolavano anonimamente i contributi di diversi collaboratori.
In più occasioni Cases ha dichiarato generosamente il proprio debito verso i QP. Il rapporto va capovolto, debitori sono i QP. Quello che ho imparato da Cases è incomparabilmente superiore a quanto Cases può avere imparato da me. Ciò che vale anche per Cherchi, Fofi e tanti altri: debitori nei confronti di Cases, così come di Fortini, Solmi, Timpanaro ecc.
È vero però che qualcosa QP ha insegnato ai “maestri”. Intendo un certo coraggio, che alcuni qualificherebbero più volentieri come imprudenza o sfacciataggine. Coloro che hanno fondato la rivista, credendoci anche quando era povera cosa, pochi fogli ciclostilati, tiratura 200 copie, non hanno avuto paura dei propri limiti, delle lacune e delle difficoltà, non hanno avuto paura di sbagliare (come è pur successo più volte), accollandosi il compito via via più gravoso della totale autogestione, per oltre vent’anni. Hanno messo a disposizione anche dei “maestri” un luogo in cui potessero pienamente riconoscersi e esprimersi liberamente (uno strumento che i “maestri” non sarebbero strati capaci di creare, e forse neppure di concepire). Un luogo, uno strumento e uno scopo. In questo, sì, l’allievo ha insegnato qualcosa al maestro.
Piergiorgio Bellocchio