Salone “N. Mandela”, Camera del Lavoro, via XXIV maggio 18
Sindaco del cambiamento
Introduzione di Stefano Pareti, interventi di Luciano Beltrametti
Mario Cravedi e Gianfranco Dragoni. Coordina Gianni D’Amo
A quattro anni dalla scomparsa, il 13 gennaio del 2008, “cittàcomune” propone un momento di ricordo e riflessione su Felice Trabacchi. Militante e dirigente del Pci per oltre mezzo secolo, è stato partigiano, sindacalista, consigliere comunale, parlamentare, pur continuando a esercitare per tutta la vita la sua professione di avvocato. Ma nel ricordo dei tantissimi che l’hanno conosciuto, Felice è stato e resta innanzitutto il primo Sindaco della svolta, del cambiamento, iniziati con la vittoria elettorale delle sinistre nel 1975.
Trabacchi è stato un Sindaco eccezionalmente popolare, nei molti sensi di questo aggettivo. Espressione politica delle classi lavoratrici, ma anche in grado di rappresentare il mondo diffuso delle professioni e delle attività economiche, Felice ha interpretato il ruolo di Primo cittadino con lo stile sobrio e concreto che gli era proprio, sempre teso a costruire ampio consenso a scelte amministrative di grande coraggio e lungimiranza: dalla riapertura del Teatro municipale alla nascita dei Nidi comunali alla costante attenzione ai problemi del lavoro (molti ricorderanno quando organizzò una presentazione del Bilancio comunale ai lavoratori dell’Astra, o come contribuì a coinvolgere l’intera città nelle vertenza Arbos).
Una figura che ha saputo riassumere e interpretare al meglio quella stagione straordinaria per fermenti sociali e culturali: un decennio di trasformazioni e grandi speranze, ma anche di contrasti e difficoltà, dalla crisi mondiale del petrolio all’imperversare nel nostro Paese del terrorismo, prima e dopo l’uccisione di Aldo Moro e della sua scorta nel 1978.
Convinti che “il futuro ha un cuore antico”, pensiamo che tornare a riflettere su una figura come quella di Trabacchi - e sulla stagione di cui egli è stato a Piacenza un protagonista di primo piano - risponda non solo all’elementare dovere della memoria, ma anche a un’esigenza di ancoraggio - oggi - a esperienze e valori forti del passato, di cui abbiamo ancora bisogno, nella difficile situazione che l’Italia e l’Europa stanno attraversando.