"Bloggopolis"

La Piazza delle Idee nella Città del Dialogo

Le idee sono il motore di una realtà che vive e respira al di là della nostra sola mente. Ecco allora spuntare Bloggopolis, uno spazio contemporaneo per dar voce a una città saggia e antica che vuole parlare, dialogare e conversare del presente e del futuro. Una piazza in cui raccogliere, attraverso i vostri commenti, il 'sentiment' di una popolazione a volte silenziosa e timida, sicuramente generosa e propositiva. Una polis del nostro tempo, la cui piazza virtuale sia specchio di una città che ci sta a cuore. Piacenza ‘città comune’.


mercoledì 20 giugno 2007

Fìdeg...è in libreria

Proponiamo qui sotto alcune voci tratte dal Glossario del libro dello scrittore piacentino Paolo Colagrande*, che presto ci concederà un'intervista sulla sua ultima fatica letteraria. Fìdeg, appunto.

Fìdeg
Fegato, in dialetto nordemiliano, ma come esclamazione ha una portata evocativa più ampia; bisogna provare a esclamarlo mangiando un po’ la parola e allora si capisce. A Piacenza è usata molto per via di un fegato etrusco con iscrizioni di nomi di divinità ritrovato negli scavi archeologici e conservato nel museo civico.

Piacenza
Ubertoso borgo padano. Lo dice l’intellettuale Fofi nell’introduzione di un libro. In realtà il critico Fofi non dice che quel borgo ubertoso è Piacenza ma io lo so, me l’ha detto ancora una volta Nello Benazzi che col critico Fofi ha lavorato gomito a gomito e poi ci ha litigato. A Piacenza trovi tante cose soprattutto negozi di vestiti, di scarpe e concessionarie di fuoristrada e, dicono, la piacentinità; che però non so cosa sia. Pare che a Piacenza siano nate o cresciute o transitate molte persone leggendarie. Facciamo alcuni nomi: Cristoforo Colombo, Charles Dickens, Edgar Allan Poe, due generazioni della famiglia Bach che suonavano in San Savino e Santa Brigida, Giuseppe Verdi, che comprava le scarpe in via Calzolai, Franz Kafka, il Minotauro ritiratosi a fine carriera in esilio volontario da Crosso al quartiere popolaresco di Sant’Agnese, Teognide di Megera, William Shakespeare, Clodia in arte Lesbia morosa di Catullo. Poi Marina Fiordaliso, Barbara Chiappini e Giorgio Armani. Ci sono molti esperti araldici che di anno in anno scoprono che quasi tutti i personaggi della storia mondiale, a parte Hitler e Stalin, e della mitologia, a parte Sisifo e Tantalo, hanno radici piacentine. Gli stessi esperti stanno ora rivisitando la questione omerica e mi sa che presto ci saranno delle sorprese. Piacenza è la capitale culturale dei piacentini, e va orgogliosa di questo primato che le altre città, per becera invidia, non le riconoscono. Ed è anche il posto con il più alto tasso di piacentinità di tutto il mondo: un altro primato che, sempre per becera invidia, nessun forestiero ha il coraggio di ammettere. I piacentini sono dei discreti saltatori, in senso sessuale, ma lo fan di nascosto e poi si vanno a confessare: cosa abbastanza facile visto che a Piacenza c’è pieno di chiese. Anche di caserme e di cardinali. Per questo pochi hanno fatto il militare. Allo stadi di calcio Garilli il cittadino di Piacenza tiene per il Piacenza; se però comincia a perdere tifa per l’avversario, imitando l’accento della squadra ospite: per questo il dialetto piacentino è così ibrido. Il piacentino quando pensa è libero pensatore. Quando non pensa anche. Quando lavora è un gran lavoratore, quando non fa niente anche. Piacenza è piena di gran lavoratori e liberi pensatori.

Benazzi Nello
Personaggio chiave della contestazione giovanile, nominato 148 volte nel romanzo, senza contare il titoletto qui sopra che col titoletto fa 149. è a piede libero per miracolo o per puro caso e, comunque, per l’elevato tasso di errore giudiziario che rende l’Italia la pecora nera nel panorama della giustizia europea. Insegna filosofia al liceo, scrive sulle riviste di filosofia, ma la maggior parte delle riviste di filosofia lo fanno vomitare per non parlare delle riviste letterarie. Se decidete di fare una vacanza con lui evitate di andare all’estero perché alle frontiere, quando gli chiedono se ha qualcosa da dichiarare, per un irrefrenabile e mai sopito istinto rivoluzionario dice mi dichiaro prigioniero politico, con tante inutili complicazioni. Lo trovate di pomeriggio da Angelo, che è un bar che serve i caffè normali, i caffè macchiati e i marocchini che però Angelo chiama moretti per evitare della facile ironia visto che il posto è frequentato prevalentemente da marocchini, a parte Nello Benazzi, Piergiorgio, Aldo Salami, Rigo Ferri, Sandro Zani e me. Angelo serve anche dei bianchi a poco prezzo. Di sera, se non è a casa a corregger ei compiti e a dar via dei due che la matita presto trasforma in sei-sei e mezzo, è dal Gnasso, trattoria tipica vicina alle mura farnesiane, che fa la critica del presente.

Piollare

Anche impiollare. Mutuato dall’artigianato edile, il verbo piollare rientra in un modulo espressivo meccanicistico cartesiano: si coniuga di solito al presente, soffre il congiuntivo e il condizionale e in generale tutti i registri linguistici che tendono alla speculazione. Nella costruzione della frase vuole soggetto e oggetto determinati o determinabili, per spiegare in termini di evidenza chi è che se la piolla o se l’è piollata, muovendo dal dato fenomenico che piollarsela qualcuno se la piolla, ovvero se l’è piollata. Meglio fare un esempio. Lo zio di Zani, che ha settantasei anni con impulsi psicofisici nostalgici, incontra in via Cavour Zani Salami e Ferri, tutti e tre a parlare in modo inutilmente ruffiano e confidenziale con Lara, una ragazza mora alta abbronzata e vestita poco, come si usa d’estate. Approfittando della momentanea distrazione della ragazza, che si è messa a parlare al telefonino, lo zio di Zani chiede a Zani: e questa te la piolli te? Ma no, risponde Zani schermandosi; allora dice lo zio di Zani voltandosi fiducioso verso Salami, se la piolla Salami? Eh magari, dice Salami; te la piolli te? Chiede allora a Ferri. E Ferri non risponde, come dir di no, che Ferri si è appena sposato. Insomma, chiede apprensivamente lo zio di Zani, allora chi è che la piolla? Ci sarà ben qualcuno che la piolla, grama ragazza, dice lo zio di Zani. In effetti piollarla garantito qualcuno la piolla, la ragazza mora, ma non è nessuno dei tre, quattro con lo zio di Zani che comunque si era chiamato fuori fin da subito: la piolla un altro, magari quello che parla al telefonino, chissà. Cioè, non è in dubbio l’oggettività del piollare la ragazza mora, piuttosto l’identità soggettiva dell’agente piollante.
Alle volte con un esempio si avanza di dar tante spiegazioni.


*Paolo Colagrande, nato a Piacenza nel 1960, fa parte del gruppo degli scrittori emiliani. Autore di Non possiamo non dirci cani, racconto che apre il numero zero della rivista "L'accalappiacani", Colagrande ha collaborato a Panta Emilia fisica (Bompiani).

martedì 12 giugno 2007

LA COERENZA DIFFICILE

Quelle che non fanno storia

pagine della cospirazione antifascista a Piacenza

Paolo Belizzi […] nasce all’inizio del Novecento, penultimo dei sette figli di una famiglia contadina, in Comune di Podenzano. […] il suo apprendistato lavorativo umano politico-morale si concreta negli anni immediatamente successivi all’enorme e insensata tragedia della Grande guerra, tra biennio rosso e nascente fascismo. […] Scrive: «Nonostante la mia giovane età, cominciai ad odiare chi faceva il doppio gioco, anche se non ero in grado di valutare chi avesse torto. Capivo però che era una vigliaccheria tenere il piede in due scarpe. Per conto mio, date le condizioni della famiglia da cui provenivo, non potevo che stare dalla parte dei poveri e quindi a sinistra».

[…] Sin dall’inizio il suo antifascismo si nutre di severità morale, un tratto che caratterizzerà il Belizzi in maniera permanente. […] Belizzi scelse subito di essere “intero, non astuto” – integro, leale, non doppio – e dovette capire ben presto, credo, che la fedeltà alla propria parte non esclude, anzi implica, di essere critici e vigili sulle ragioni e i valori originari, che tali restano solo se continuamente riverificati (rigenerati) nelle circostanze della vita, personale e collettiva. Sempre ben alla larga da quel “gattopardismo”, a tal punto costitutivo di questo paese, da sopravvivere ai crolli dei Muri e alla globalizzazione.

[…] Belizzi scelse non solo la parte giusta, ma, aggiungerei, il modo giusto di starci: in prima fila di fronte alle responsabilità e agli oneri (l’attività cospirativa, il confino, l’isolamento, il carcere, i continui e tremendi rischi dell’organizzazione della Resistenza in città); lontano o allontanato, in disparte, ai margini, quando giunse il momento degli onori. Mettiamola così: non vi era portato.

[…] Ho conosciuto Paolo Belizzi nei primi anni Settanta e ci siamo assiduamente frequentati per poco più di un decennio. Per Paolo fu quello conclusivo di una vita lunga, intensa e operosa, che aveva attraversato tutto il secolo; io ero tra i venti e i trent’anni. Nel ’74, provenendo dalle esperienze del movimento studentesco e della sinistra extraparlamentare, demmo vita al Comitato anitifascista militante (Cam). […] Anche se ancora non lo sapevo, cercavamo una tradizione, senza la quale non si vive il presente. La trovammo nelle persone – almeno per quel che mi riguarda – prima che nei libri. Innanzitutto in Belizzi: in rivolta coi padri, ci soccorsero i “nonni”.

[…] Dal 1976 Paolo Belizzi fu presidente del Cam, eletto dall’assemblea degli iscritti , che nei secondi anni Settanta erano centinaia. La sua presenza fu fondamentale per aiutarci nel lavoro di conoscenza e valorizzazione del passato che avevamo intrapreso. Riscoprimmo luoghi e figure della Resistenza piacentina allora trascurati, se non dimenticati.

[…] Quando nell’ottobre 1986 Paolo morì, […] i famigliari desideravano che a ricordare la causa e l’impegno di Paolo fosse una persona, non una sigla. La scelta cadde quasi naturalmente su di me, un onore di cui vado fiero, la conferma di un’amicizia davvero profonda. Davanti a quella sua bara che veniva calata nella terra, ancora mi fu maestro Paolo: non dovevo far altro, pensai, che provare a rendergli l’estrema manifestazione di fratellanza, che da lui avevo sentito tributare a Carlin.

[…] privilegiare l’approfondimento della dottrina rivoluzionaria rispetto alle trasformazioni da essa prodotte negli uomini e nelle loro relazioni; non rendersi ben conto che è la voce di uomini diversi a dare forza all’appello a essere diversi ( cioè a cambiare il mondo), e il concreto operare di uomini trasformati da una fede, la più efficace testimonianza di quella fede…Per farla breve , “The singer, not the song”, come recita il titolo originale di un vecchio film : il cantante, prima e più della canzone. «Un uomo è sempre più importante della sua poesia», ha scritto una volta Bellocchio del poeta partigiano Vico Paveri. Io un pò lo sapevo, certamente più di altri della mia generazione, perché il problema l’avevo incontrato e riconosciuto: ne avevo la prova su e dentro di me. Ma non abbastanza per dirlo.

Paolo Belizzi ci consegna la sua testimonianza in questo libro umile e schivo, in cui riservatezza e pudore velano una pratica del bene ordinaria quotidiana normale, non perciò minore, anzi. Uomini semplici come lui e suo fratello Mario, Carlo Bernardelli, Guido Fava, Guglielmo Schiavi, Angelo Chiazza, Emilio Cammi ci insegnano che, quando è giusto, si può dire ‘no’ anche se tutti dicono ‘si’, che in ciò non soccorrono la nascita né la ricchezza o la cultura, e che ciò non accade invano. Nelle pagine di Belizzi e nella sua vita, le persone valgono più delle idee, le formano e danno loro fondamento. Un tale criterio di giudizio si deve applicare anche a lui: e Belizzi valeva molto di più delle sue parole.

“Dare il meglio per nulla”: mi pare questo l’ideale pratico di Belizzi, ciò di cui esplicitamente rende merito, in queste pagine senza pretese, alle donne senza pretese che lo hanno accompagnato nella vita e nella lotta: Marcilla, Luisa, Elda, Linda. E se m’interrogo oggi su cosa quest’uomo severo e mite, dotato di una naturale signorilità, abbia potuto trovare nella decennale frequentazione del nostro gruppo di giovani scapestrati, vorrei rispondere: quello che cercava. Qua e là, ogni tanto, a piccole dosi, almeno l’eco dell’antica generosità che dava senso alla sua vita.

Gianni D'Amo

giovedì 7 giugno 2007

La 'Chiusa'

All'insaputa dell'autore, pubblichiamo di seguito la lettera con la quale Gianni D'Amo precisa il suo rapporto con gli elettori soprattutto dopo gli ultimi articoli pubblicati sui quotidiani locali, ribadisce la realtà dei fatti all'indomani dei risultati elettorali, e chiude il suo ciclo di contributi con un invito alla riflessione per il futuro del centro-sinistra.

Caro direttore, mi rendo conto della difficoltà di sintetizzare situazioni e posizioni articolate, ancor più nei titoli. Non contesto il diritto giornalistico di condensare la nostra conferenza-stampa di domenica 3 maggio nel titolo interno a tutta pagina 8 (“Libertà” del 4): “D’Amo lascia liberi i suoi elettori”. Mi permetta però di dire che non mi ci riconosco e di spiegare subito il perché: non sono io a “lasciar liberi” gli elettori. Lo sono da sé, costitutivamente, in premessa. La prego di credermi: sono a chiederle spazio non per polemica col suo giornale, ma per un doveroso chiarimento di fronte agli elettori.
Come è constatabile dalla videoregistrazione del mio intervento, domenica 3 maggio ho detto che, come persona e come titolare di una responsabilità che mi sono assunto accettando di fare il candidato sindaco di uno schieramento, io ho tenuto sempre la barra, per provenienza e destinazione, sul centro sinistra, che non intendevo e non intendo muovere questa barra. Ho aggiunto che certamente le componenti maggioritarie del centro sinistra, dal momento che hanno rifiutato a priori ogni ipotesi di apparentamento, non mi aiutavano in quest’opera.
Noi siamo collocati nel centro sinistra – ho ribadito - e di fronte al ballottaggio ragioniamo a partire anche da questa collocazione, non solo da considerazioni programmatiche o dal rifiuto dell’apparentamento. Ho ancora ricordato la presenza nelle nostre liste di un ex assessore e di ben cinque consiglieri della passata maggioranza (sottolineando quella di Alfonso Cappelletti), nonché il voto sul bilancio di metà aprile scorso, con l’apporto decisivo di Sandro Miglioli e mio, senza il quale Roberto Reggi avrebbe iniziato la sua campagna elettorale nel peggiore dei modi: cadendo sul bilancio stesso.
Ho quindi aggiunto che categorie come “libertà di voto” o “voto di coscienza”, per una proposta e un elettorato come il nostro, fossero da considerare in premessa, esercitate innanzitutto il 27 e 28 maggio, sapendosi sottrarre alla fortissima polarizzazione e pressione nazionale. Chiedo scusa se mi cito: «È un elettorato responsabile, per bene, non è stato nella corrente, non ha votato qualcuno perché aveva qualcosa da ricavarne. Io penso che questo elettorato, in questa situazione difficile, si orienterà splendidamente da sè. Ho proposto a Reggi di condividere la responsabilità degli ultimi dieci giorni di campagna elettorale. Questa proposta non è stata accettata; i quasi duemila nostri elettori non troveranno domenica e lunedì sulla scheda i simboli di “cittàcomune” e “Alleanza per Piacenza”. Tocca a Reggi la responsabilità di conquistare quei voti, che valgono come numero esattamente come tutti gli altri, ma nei quali c’è passione, libertà, intelligenza, nessun calcolo».
Ancora una notazione, in vista di un doveroso e meritato silenzio.
Qualcuno, anche tra i miei sinceri amici ed estimatori, mi segnala come negli ultimi giorni io abbia dato l’impressione di elemosinare qualcosa, se non un posto, un riconoscimento. Preferisco quest’accusa (e chiunque mi conosca sa quanto mi ferisca) a quella di non aver fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità per ricomporre compiutamente lo schieramento alternativo al centro-destra. Il riconoscimento l’ho già avuto, il 27 e 28 maggio, dagli elettori. Dal 29 ho cominciato a pormi un altro problema: quello dell’interesse complessivo del centro-sinistra. Cose d’altri tempi, da politico vecchio, in un certo senso.
Infine e per concludere, un modesto consiglio: un Gianni D’Amo calunniato, umiliato e lusingato insieme, non serve a convincere proprio nessuno.

Gianni D'Amo

domenica 3 giugno 2007

Fuori dal Coro

In questi giorni ho parlato un pò con tutti, con le persone che vedo tutti giorni, con i compagni di sempre. E il ritornello è sempre lo stesso: battiamo la destra.
Ok, mi sta bene, anch'io sono sempre stato di questa idea. E poi? E poi chi lo sa, intanto evitiamo che Squeri e la sua alleanza di neo e post fascisti salga al governo della città. Su quello che invece abbiamo fatto noi o che potremo fare noi... ci penseremo.
Evitare che Squeri vinca è una battaglia sacrosanta, ma utilizzare il nemico per giustificare le proprio politiche sbagliate è inaccettabile per una persona di sinistra. Lo abbiamo gia fatto e continuiamo farlo a livello nazionale. Votiamo Prodi per mandare a casa Berlusconi. Prodi vince, in un anno non fa una legge, non cancella le vergogne della destra, nemmeno quelle ad personam. Ma guai a criticare il Governo, siete pazzi, rivolete Berlusconi? Poi se la precarietà è sempre li, il falso in bilancio è sempre depenalizzato e siamo sempre in guerra, poco importa, l'importante è sapere che siamo noi al Governo.
E in città è la stessa cosa: un sindaco manager decisionista e arrogante, partecipazione azzerata, cementificazione, promesse non mantenute del precedente programma (tant'è che alcune si ripetono!) ma non c'è problema, un pò meglio di Squeri lo sarà, no?
La gente con cui ho parlato mi accusa di tradimento, conoscendo la mia intenzione di astenermi dal voto. Io non chiedo che la mia posizione sia condivisa, nonostante sia lucida e coerente dopo aver fatto opposizione da sinistra per 5 anni e aver scelto Città Comune, ma almeno rispettata. Votiamo in massa una sinistra deludente per evitare la destra? Non condivido ma rispetto. Però esigo che la mia posizione non venga strumentalizzata. Spesso e volentieri si può essere di sinistra, anche se non la si vota. E' una scelta, e se si perde, la colpa non è di chi si è astenuto, ma di chi ha Governato nei 5 anni precedenti.

Andrea Chiappini

(Foto di Sebastião Salgado)

Tribuna elettorale, Una sintesi per la sinistra

di STEFANO PARETI*


G. Paolo Parenti è stato per quasi l'intera sua vita politica un rispettato uomo di minoranza, nel suo partito (il Psi) e anche nelle Istituzioni locali. Forse non godeva delle simpatie di chi era in maggioranza, ma nessuno si sarebbe mai permesso di pretendere da lui delle scuse per i suoi comportamenti politici.
G. Paolo non dovrebbe allora meravigliarsi se nella sinistra piacentina impegnata nelle elezioni comunali esistono punti di vista diversi, sui programmi e sui metodi di governo della cosa pubblica. L'importante è trovare una sintesi unitaria che salvaguardi le ragioni della sinistra.
Gianni D'Amo e le due liste a lui collegate hanno reso lealmente pubblico un dissenso legittimo, che era diffuso, come s'è visto, tra molti elettori del centro-sinistra, i quali hanno espresso un loro apprezzamento con circa 2000 voti. L'obiettivo era quello, dunque, di offrire un'occasione alternativa di voto a sinistra, senza mai nascondere l'intendimento di ricomporre al ballottaggio l'unità della coalizione, per sconfiggere le destre.
In tal senso è stata formalmente e pubblicamente avanzata a Reggi una nostra disponibilità all'apparentamento. Adesso siamo al dunque, ma Reggi e i partiti che lo sostengono escludono ogni apparentamento, con noi e, pare, con chiunque, dichiarando intangibili il programma e la squadra, poiché sono stati premiati dagli elettori.
Di recente, G. Paolo Parenti ha scritto alcune parole importanti in un suo articolo a Libertà (25 maggio), che voglio riproporre:"Anche alle elezioni per il Comune di Piacenza la sinistra si presenta con due candidati. Per il primo turno non c'è più nulla da fare; ma guai a chi impedisse l'accordo al ballottaggio. Si macchierebbe di un autentico delitto politico."
Vorrei, concludendo, sdrammatizzare un po' la materia, ricorrendo ad una citazione da Adriano Celentano, che in una sua fortunata trasmissione televisiva, ha affermato :"L'arroganza è lenta, la timidezza è rock". Noi forse non saremo timidi, ma certamente non ci lasciamo guidare dall'arroganza.
*Capolista di Alleanza per Piacenza

Da Libertà del 02.06.2007

I requisiti del buon politico e il bene della città.

di GIORGIO MILANI

Leggo qualche volta le esternazioni di Brunello Cherchi su argomenti vari. Mercoledì 30 maggio è intervenuto in veste di politologo sulle recenti elezioni comunali. L'analisi mi è sembrata in equilibrio fra il confuso e il banale, sconcertante la conclusione.
Piergiorgio Bellocchio in un intervento su "Libertà" dell'8 maggio 2007 aveva spiegato il perché della candidatura di Gianni D'Amo elencando i requisiti che un buon politico deve avere e che lui evidentemente non aveva trovato nei nomi che andavano per la maggiore: intelligenza, competenza e onestà; realismo; disponibilità ad ascoltare e imparare dagli amici e anche dagli avversari, e soprattutto dai cittadini.
Io ho condiviso quelle considerazioni, duemila cittadini l'hanno ascoltato e la destra non ha vinto e D'Amo e le sue due liste hanno intercettato una manifestazione di insoddisfazione (di gente che forse non sarebbe andata a votare) che non sfocerà mai in un cambio di campo, ma che non può essere insultata dalle semplificazioni di comodo del giorno dopo.
Personalmente la sinistra che vorrei non deve necessariamente coincidere con quella che è al potere, con quella che decide per tutti, con quella che pensa di essere moralmente superiore a chi dissente, che è infastidita da chi non accoglie a braccia aperte le sue tesi, che considera la partecipazione una pretesa di consenso illimitato sempre e comunque.
Le liste di D'Amo e Pareti volevano richiamare l'attenzione su un problema di metodo oltre che su vari contenuti programmatici che non avevano avuto possibilità di ascolto in altre sedi; e che insomma qualche volta anche a Piacenza abbiamo un re nudo che qualcuno deve avvertire.
Dato che 2.000 elettori hanno condiviso questa analisi, Cherchi pretende un po' troppo chiedendo le dimissioni di D'Amo e Pareti perché non risolve il problema di chi li ha votati: devono dimettersi anche loro? E da che cosa? Da cittadini piacentini? Le opinioni di cortigiani interessati non sempre coincidono con quelle che fanno il bene della città.

da Libertà del 02.06.2007

sabato 2 giugno 2007

A sinistra, senza se e con qualche ma.

Il risultato elettorale della nostra lista, della nostra coalizione e del nostro candidato sindaco non ci ha soddisfatto, ma va considerato che per molti versi è stato un risultato straordinario. Un risultato che non è mai stato raccolto a Piacenza da un candidato alternativo a quelli più forti. Dico subito che capisco le reazioni di chi è spinto a non dare il proprio voto al ballottaggio, soprattutto dopo l’ennesima dimostrazione di arroganza, cioè quando si rifiuta il dialogo e di conseguenza un nostro eventuale apparentamento. Considero però quelle reazioni un errore per alcuni motivi che cercherò di spiegare.

Fermo restando che non dobbiamo accettare per il futuro quel ricatto morale, vizio di pigrizia intellettuale e paravento di ipocrisia che è il “voto utile”.

Fermo restando che il negare l’apparentamento è, secondo me, il disegno che potrebbe sancire definitivamente l’impossibilità futura di proporsi in alternativa alle scelte amministrative e politiche di chi ha la maggioranza e di chi tiene il timone di comando.

Fermo restando che siamo da sempre nella sinistra e intendiamo restarci.

Non dare l’appoggio, anche se a questo punto gratuito, a Reggi ci mette nelle condizioni di isolarci dal nostro popolo, forse di isolarci da quello che ci ha votato ma soprattutto e certamente da quello più numeroso che non ci ha votato e che dobbiamo raggiungere. Che non è stato finora raggiunto perché non ha colto il nostro messaggio, perché non ci ha capito, perché non glielo abbiamo saputo spiegare, perché ha avuto paura, perché non ha condiviso la “frattura”, perché…

Potremo perdere, ma mi piace ricordare la bella intervista che Gianni D’Amo ha rilasciato a “Libertà” il giorno dopo i risultati: “Dico che vince chi vince, non chi porta dei buoni argomenti. Machiavelli l’aveva già chiaro questo concetto centinaia di anni fa. Non è la politica che è “sporca”, è la società che non crede che esistano persone pulite, per cui quando si presenta uno che la dice com’è, diffida e pensa ci sia sotto qualcosa. Gli elettori diffidano di chi non corre per vincere. È il modello americano: chi vince ha ragione, chi perde ha sempre torto”.

Da qualche anno credo e spero di lottare per conquistare posizioni intelligenti di governo, (così come bisognerebbe tenere posizioni intelligenti quando si è all’opposizione), perché non sono per stare al governo a tutti i costi e perché credo e spero di avere abbandonato le vocazioni al minoritarismo e così le supponenze arroganti. Quelle supponenze lasciamole ad altri.

Non dobbiamo però dare nessuna possibilità a chi ci vorrebbe arroccati in uno splendido isolamento. Vocazione che da sempre esiste a sinistra, ma che non è mai stata premiata né da un seguito di massa né, tanto meno, da un seguito elettorale significativo.

In un discorso più generale, dobbiamo rimanere ancorati alla possibilità per ora teorica o utopica di ricreare in Italia, partendo anche dalla nostra realtà periferica, le basi e le condizioni per il ritorno di una forza che sia, e non solo che si dichiari, forza coerentemente di sinistra.

È un’impresa titanica ma tremendamente necessaria. E deve essere il nostro impegno.

Francesco Serio