"Bloggopolis"

La Piazza delle Idee nella Città del Dialogo

Le idee sono il motore di una realtà che vive e respira al di là della nostra sola mente. Ecco allora spuntare Bloggopolis, uno spazio contemporaneo per dar voce a una città saggia e antica che vuole parlare, dialogare e conversare del presente e del futuro. Una piazza in cui raccogliere, attraverso i vostri commenti, il 'sentiment' di una popolazione a volte silenziosa e timida, sicuramente generosa e propositiva. Una polis del nostro tempo, la cui piazza virtuale sia specchio di una città che ci sta a cuore. Piacenza ‘città comune’.


lunedì 14 marzo 2011

Intervento

Consigliamo la lettura di quest'intervento di Gianni D'Amo, forse un po' lungo ma certamente un interessante excursus nella storia di questi 150 anni d'Italia.
Un intervento che parla dell'Italia di ieri e che spiega un po' d'Italia di oggi.

clicca su questo link:
Approfondimenti_D'Amo_150°


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Piacenza, giovedì 17 marzo 2011, ore 17.30

Presso la sede in Via Borghetto 2/i



brindisi per la festa del

150° anniversario

dell’Unità d’Italia




lunedì 7 marzo 2011

Presentazione "Diario"



Piacenza - Teatro dei Filodrammatici
via Santa Franca 33
MERCOLEDI’ 23 MARZO 2011, ore 21

“Cittàcomune” propone la presentazione del volume (Quodlibet, 2010)

D i a r i o

1985-1993 - Riproduzione fotografica integrale dell’omonima rivista di
Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli

Ne discutono con i due autori e con i presenti
Gianni D’Amo e Matteo Marchesini


Da Quaderni piacentini, rivista collettiva per eccellenza, a Diario, rivista personale: dal noi all’io. “Opera a puntate” che offre descrizioni insuperate della società italiana nella lunga e inconclusa transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica, Diario fu interamente scritta e autogestita, tra il 1985 e il 1993, da Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli, con la sola compagnia di grandi autori del passato di volta in volta antologizzati (secondo la formula “due vivi e un morto”), e l’ambizione di “purificare il linguaggio della tribù”, per tornare a “essere presi in parola”. Paolo Febbraro, nel recensire la riproduzione fotografica integrale in volume proposta ora dall’editore Quodlibet, si sofferma sulla “prosa naturale, cristallina, inappellabile, che fa di Diario una delle più interessanti riviste del secondo Novecento, uno dei piccoli paradisi che forse abbiamo perduto” (il manifesto,11 novembre 2010). Solipsismo pessimista? “Nient’affatto”, sostiene oggi Bellocchio, “tra le cause della fine di Diario ci fu anche la constatazione che non lo eravamo stati abbastanza: le cose sono andate ancora peggio di quel che avevamo previsto”. Operazione elitaria, rivista impolitica, dismissione di responsabilità? Al contrario: “I due autori concordano nel considerare quegli anni i più liberamente e felicemente produttivi della propria attività letteraria. Scrivendo Diario, ci siamo sentiti politicamente impegnati come mai prima”.

Piergiorgio Bellocchio ha fondato con Grazia Cherchi e diretto per circa vent’anni “Quaderni piacentini”. Ha esordito nella narrativa con I piacevoli servi (Mondadori, 1966). Dal 1985 al 1993 ha pubblicato “Diario”, rivista redatta con il solo Alfonso Berardinelli. La sua produzione critica e saggistica è raccolta in vari volumi, tra cui: Dalla parte del torto (Einaudi, 1989), Eventualmente (Rizzoli,1993), L’astuzia delle passioni (Rizzoli, 1995), Oggetti smarriti (Baldini&Castoldi, 1996), Al di sotto della mischia. Satire e saggi (Libri Scheiwiller, 2007). È presidente dell’associazione politico culturale “cittàcomune”.

Alfonso Berardinelli ha insegnato Letteratura contemporanea all’Università di Venezia fino alle dimissioni volontarie nel 1995. Ha pubblicato tra l’altro: Il critico senza mestiere (Il Saggiatore, 1983), La poesia verso la prosa (Bollati Boringhieri, 1994), L’eroe che pensa (Einaudi, 1997), La forma del saggio (Marsilio, 2002 e 2008) e, con H. M. Enzesberger, Che noia la poesia (Einaudi, 2006). Tra i suoi ultimi libri: Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione (Quodlibet, 2007); Poesia non poesia (Einaudi, 2008).

Gianni D’Amo insegna Storia e Filosofia al liceo statale di Codogno (Lodi). Consigliere comunale a Piacenza, è tra gli animatori dell’associazione politico-culturale “cittàcomune”. Per Dieci libri. Letteratura e critica 2007-2008 (a cura di A. Berardinelli, Libri Scheiwiller, 2008) ha scritto: “Il saggismo morale di Bellocchio” e “L’ombra lunga della guerra. Intervista a Guido Crainz”.

Matteo Marchesini collabora all’annuario critico di poesia curato da Giorgio Manacorda (Castelvecchi). Dal 1999 al 2003 ha gestito a San Giovanni in Persiceto (Bo) una piccola libreria specializzata in poesia e narrativa per ragazzi. Nel 2003 ha pubblicato il libro di poesie Asilo (Arezzo, Ed. degli Amici), nel 2004 ha vinto il Premio di narrativa Iceberg con la raccolta di racconti Le donne spariscono in silenzio (Bologna, Pendragon, 2005). Un suo ritratto critico di Piergiorgio Bellocchio compare sul n.129 de Lo straniero attualmente in libreria.

venerdì 4 marzo 2011

La tessera 2011 dedicata a Piero e Ada Gobetti

Piero Gobetti nasce a Torino nel 1901. I genitori gestiscono una piccola drogheria, i nonni erano contadini. Ingegno precocissimo, ottimi studi, si laurea con una tesi sulla filosofia politica di Alfieri. Ancora liceale aveva diretto la rivista Energie Nove, interrotta per dar vita a La Rivoluzione Liberale (1922-25), in cui si riconobbero molti giovani (Carlo Levi, Giacomo Debenedetti, Ernesto Rossi, Camillo Berneri, Carlo Rosselli, Riccardo Bauer, Natalino Sapegno, Eugenio Montale, Adriano Olivetti, Lelio Basso ecc.), riscuotendo anche la stima e la solidarietà di politici e studiosi più che affermati (Salvemini e Croce, Pareto, Amendola, Einaudi, Salvatorelli, Prezzolini ecc.). Accanto alla rivista, la casa editrice, che inalbera il motto greco e alfieriano: “Che ho a che fare con gli schiavi?” Con la vocazione pedagogica, Gobetti aveva “la virtù tutta sua di attrarre gli spiriti più diversi e ottenere da loro il lavoro a cui fossero portati, traendo da ciascuno quel che poteva dare di meglio” (Mario Fubini). E ancora, un fervore organizzativo e una capacità di lavoro straordinari. Da suoi appunti pubblicati postumi: “Ho in mente una mia figura ideale di editore. Mi ci consolo, la sera dei giorni più tumultuosi… dopo aver scritto 10 lettere e 20 cartoline, rivedute le terze bozze del libro di Tilgher o di Nitti, preparati gli annunci editoriali per il libraio, la circolare per il pubblico, le inserzioni per le riviste, litigato col proto che mi ha messo un errore nuovo dopo 3 correzioni, mandato via rassegnato dopo 40 minuti di discussione il tipografo che chiedeva 10 lire di aumento per foglio, senza concederglielo; aiutato il facchino a scaricare le casse di libri quando ci sono solo più io ad aspettarlo, schiodata io stesso la prima cassa per vedere i primi esemplari e soffrire io solo del foglio che è sbiancato in una copia, e consolarmi che tutto il resto va bene… ricevute 20 telefonate, 10 facce nuove che vengono con le proposte più bislacche… e bisogna sentire, scrutarle, scegliere il giovane da aiutare e il presuntuoso da mettere subito alla porta”. Giuseppe Gangale lo ricorda “che veniva qui a Roma in terza classe, frettoloso, arruffato, con la grossa valigia carica dei suoi libri e dei suoi giornali che egli stesso distribuiva ai librai e collocava dai giornalai”. Nel 1923 sposa Ada Prospero, conosciuta negli anni di liceo, fedele compagna, ispiratrice, collaboratrice, che ne continuerà le battaglie, facendo della sua casa una scuola di antifascismo, fino alla Resistenza (di cui lascerà testimonianza in Diario partigiano, 1956). Nel 1925 nasce il loro figlio Paolo.

Poco più che adolescente, Gobetti aveva salutato con entusiasmo la rivoluzione russa, i consigli di fabbrica e l’occupazione della Fiat (1920): “Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell’opera loro, almeno per ora. Ma mi pare di vedere che a poco a poco si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarà dalla parte di chi ha più religiosità e spirito di sacrificio”. Collabora a L’Ordine Nuovo, con interventi politici e soprattutto come critico teatrale, senza alcuna concessione divulgativa, rivolgendosi cioè al lettore operaio come a un intellettuale. Dirà di lui Gramsci: “Piero Gobetti non era un comunista e probabilmente non lo sarebbe mai diventato, ma aveva capito la posizione sociale e storica del proletariato… Egli scavò una trincea oltre la quale non arretrarono quei gruppi di intellettuali più onesti e sinceri che nel 1919-20 sentirono che il proletariato come classe dirigente sarebbe stato superiore alla borghesia”. Del fascismo capisce subito il tatticismo opportunistico e il quasi fatale successo: “Né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni, ma gli italiani hanno bene animo di schiavi”. Il fascismo è “l’autobiografia della nazione”. Prevede lucidamente che è destinato a durare, ma non per questo rinuncia a un’opposizione sempre più intransigente. Il compito è “salvare il futuro” delle giovani generazioni. Il suo antifascismo, prima ancora che scelta politica, è qualcosa di “fisiologicamente innato”, un’“irreducibile questione di principio”, di “istinto”, di “dignità”, di “stile”. Pochi giorni dopo la formazione del primo governo Mussolini, scrive: “Dobbiamo subire le persecuzioni che ci spettano”. Ciò che avviene puntualmente, con perquisizioni, sequestri, fino alla selvaggia aggressione del settembre ‘24 (tre mesi prima un telegramma del Duce ordinava al Prefetto di Torino: “rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore governo e fascismo”). Soppressa La Rivoluzione Liberale, fonda Il Baretti, d’indirizzo più letterario, a cui collaboreranno giovanissimi Leone Ginzburg e Massimo Mila. Deciso a continuare la sua attività di scrittore e editore, che gli è inibita in patria, Gobetti va esule a Parigi, dove muore il 15 febbraio 1926.