Ancora: chi ha la ventura di insegnare in una media conosce l’assoluta inadeguatezza dell’accoglienza riservata agli alunni stranieri. Ciò conduce alla malcelata sopportazione di situazioni obiettivamente difficili, con naturalezza imputate proprio a loro, gli immigrati, anche da insegnanti solitamente di buona volontà. E’ molto facile, su questa strada, scivolare nell’intolleranza. D’altro canto, classi numerose e sempre più eterogenee, di obiettiva difficile gestione, conducono alla ricerca di facili capri espiatori. Il punto è, quindi, quello di agevolare l’ingresso dei ragazzi immigrati ottenendone un reale inserimento: il simulacro di corsie d’ingresso, affidate quasi sempre alla sola buona volontà di operatori a volte eroici, lascia il tempo che trova, così come lascia il tempo che trova parlare di scuola moderna, europea, quando gli edifici stessi risultano nell’80% dei casi inadeguati: aule anguste, buone per 15 alunni, destinate ad ospitarne 25; spazio vitale inesistente; acustica da mercato rionale. Vogliamo poi parlare dei programmi? Del pedagogismo d’importazione (Ahi! La scimmia pedagogica, come l’ha giustamente chiamata qualcuno), per cui anche una poesia diventa un cubo di legno da smontare e rimontare?
In sostanza, la scuola va ripensata e soprattutto – finalmente – va considerata risorsa sulla quale investire una quota importante di Pil, non le briciole. Cittàcomune, associazione plurale e disincantata, cui non importa essere demagoga e neppure buonista, se ne occupi da par suo. Per come può e per quanto può. Stefano Raffo
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